Diario di una dispersa

Oggi è domenica, mamma ha preparato il sugo di carne e papà ha sterilizzato i ferri in studio.
Come al solito è una bella giornata di sole, e come al solito io mi trovo a navigare in acque sconosciute anche a Dio, lottando per l’ennesima volta con il nemico invisibile.
Vogliamo sempre le cose che non abbiamo, perennemente insoddisfatti di qualsiasi cosa.
Mi manca la stracciatella fresca, andare in bici in centro e comprare la Repubblica e poi leggerlo al bar. Mi manca svegliarmi la mattina e non avere le occhiaie, il profumo dei panni stesi.
Chiudo gli occhi e sogno di andare a correre con il mio cane, di fermarmi al negozio di Cristiana per salutarla e proporle un aperitivo post lavoro.
Mi chiedo adesso quanto ne valga la pena fare questo lavoro, il lavoro che credevo fosse quello della mia vita, così tanto sudato e desiderato. Aver compiuto trent’anni ha creato nei miei pensieri tanta confusione, è arrivato il momento di dare una svolta. Voglio inseguire i miei sogni

𝖨 𝗇𝖺𝗍𝖺𝗅𝖾 𝖺𝗂 𝗍𝖾𝗆𝗉𝗂 𝖽𝖾𝗅𝗅𝖴𝗇𝗂𝗏𝖾𝗋𝗌𝗂𝗍𝖺

Il bus è passato senza fermarsi, era troppo pieno per far entrare altre persone.

Le valigie sono state preparate in fretta e furia, e pur di far entrare il vestito dell’occasione, M. ha rinunciato ai libri di fisiologia che avrebbe dovuto studiare durante le vacanze per il parziale di gennaio.

-“Accidenti, perderò il treno!” camminando avanti ed indietro sul ciglio del marciapiede con un certo nervosismo, non smetteva un secondo di guardare l’angolo della via, sperando in una miracolosa apparizione fuori programma del prossimo bus.

-“Pronto! Pronto! Mamy Love! Sono disperata! Il bus è andato dritto, non so come fare… No, NO! Dì a nonna che a me le pittule piacciono senza le olive! …Sii, l’ho preso il regalo della zia, in valigia sta… Mh, aspetta Mamy, ti richiamo subito”-.

Chiudendo la cornetta del telefono mentre la Mamy stava ancora parlando, lo sguardo di M. non potè fare a meno di soffermarsi in maniera aggrucciata su una ragazzetta dai capelli ricci, rossi, tanti ed arruffati, vestita in maniera alquanto stravagante, con una giacca di cammello almeno quattro taglie più grande, avvolta da una lunga sciarpona di lana tricolore e con un rossetto ancor più rosso dei capelli. Con una mano reggeva una valigia vintage enorme, tutta scassata e senza ruote. Con l’altra, teneva in sù il pollice.

-“Mi scusi, ma si può sapere cosa sta facendo lì in mezzo la strada? Rischierà di venire investita da una macchina o ancor peggio, di essere rapita da qualche ubriacone!”-.

Il freddo gelava l’alito, il fumo usciva dalla bocca. La ragazza dai capelli gonfi come un mare in tempesta non si smosse nemmeno di un millimetro, a lei il fumo usciva per causa delle lucky strike, mica per il freddo.

Tra le due ragazze s’interposse un silenzio glaciale come il freddo di quel 24 dicembre 2010, l’inverno più freddo degli ultimi 100 anni dicevano alla tv, le uniche voci che si sentivano erano quelle delle canzoni di natale che uscivano dalle altoparlanti della fermata di via B. Croce. Le strade erano deserte, gli studenti avevano già svuotato la città migrando al sud, e gli autoctoni s’impegnavano con gli ultimi preparativi per la vigilia, regalando al quel gelo un profumo di dolci e cannella.

Come per miracolo, spunta dalla nebbia una macchina, forse una casalinga uscita di fretta in ciabatte che ha dimenticato di comprare la farcitura per il pandoro, e allora scappa alla ricerca di una bottega ancora aperta.

Rallenta. Si ferma.

Finalmente lady capello selvaggio si smuove dalla sua posizione da autostoppista e corre verso la macchina ficcando la testa dentro il finestrino come farebbe uno struzzo sotto la terra.

Ora era M. ad avere una posizione impietrita.

Dopo una breve conversazione, la rossa caccia fuori la testa dal finestrino strappandoci in mezzo qualche capello, e urla verso quella giovanotta dall’aria basita:

-“Allora, monti in sella oppure no? Se aspetterai il bus stai certa che passerai il natale su quel marciapiede algido, se vieni con me mi dovrai un favore a vita!”-.

Silenzio. 🎶 Silent Night 🎵.

– “Il tempo passa, pensi che troverai altri biglietti disponibili se perdi la coincidenza? I treni passano una volta sola!”-.

Il Silenzio venne interrotto dallo squillare del telefonino rosa ancora poggiato sull’orecchio della ragazza che sembra disipnotizzarsi. Il telefono continua a squillare. Lei non risponde, non sa che fare. Non parla.

-“ Non so dove tu sia diretta, ma che ti piaccia o no se non sarà questo signore a farti del male, sarà la tua “Mamy love” a farlo, perchè avrai perso il treno! Carpe diem, afferra il giorno e muovi le chiappe!”-

M. non potè fare a meno di inchinarsi di fronte ad una citazione di Orazio detta da una tizia apparentemente trasandata, finalmente tolse il telefono ancora squillante dall’orecchio, raccolse tutti i suoi bagagli, e salì in macchina.

-“Dove sei diretta?”-

-“Intercity Milano-Lecce, binario 1, carrozza 8, posto 7. Tu invece?”-

Capello rosso si mise le mani in tasca, iniziò a frugarci dentro come se fosse la borsa di Mary Poppins, cacciò fuori raccolto in un pugno un biglietto tutto accartocciato dove si erano incastrati trucioli di tabacco di una sigaretta spezzata. Lo aprì, ci soffiò sopra per toglierci un po’ di sporcizia.

-“Carrozza 8, posto 8. Andiamo nella stessa direzione!”-

Alla stazione dei treni di Pescara, Trenitalia si scusava per il disagio dei 45 minuti di ritardo, minuti in realtà essenziali per le due sventurate ritardatarie croniche. Anche la libreria della stazione aveva chiuso per le festività, l’unico chiosco aperto era tabacchino per le lucky strike.

I treni di dieci anni fa avevano ancora gli interni di legno con i portelloni scorrevoli di vetro, le cuccette erano da otto posti, lungo i corridoi c’erano i sedili extra per i biglietti super economy, e il riscaldamento era sempre guasto.

M. aveva creato una mega nube di vapore acqueo tenendo il naso appiccicato al finestrino del vagone, e con i suoi occhi grandi guardava meravigliata come il treno in corsa fosse a ridosso del mare, sembrava come se ci stesse navigando sopra .

-“Guarda, sta iniziando a nevicare… Che meraviglia, non ho mai visto la neve. Grazie per avermi considerata nel passaggio in auto, mi hai salvato il natale, ti devo un regalo. A proposito, io sono Marlena, e tu come ti chiami?”-

-“Nemmeno io avevo mai visto la neve prima di oggi, dove vivo è sempre estate. Mi chiamo Vivian”-.

Quando entravi nella galleria infinita con il mare sapevi che eri verso Ortona e che quindi era meglio non usare il telefono, la fermata di Bari era la più lunga per potersi concedere la sigaretta vicino la porta del vagone, quando vedevi il paesaggio mutare in campagne piene di ulivi folti eri già in Puglia, invece quando gli ulivi erano secchi a causa della xylella avevi superato Brindisi. Emozioni, ansie, discorsi, smaltimenti di sbornie… Ogni volta il vagone trasportava sempre le stesse persone ma con dei sentimenti nuovi, mentre fuori le stagioni e gli anni passavano senza nemmeno accorgersene. Le due ragazze frequentavano lo stesso corso di studi all’università, ma una sedeva sempre in prima fila, l’altra all’ultima. Si erano incrociate ogni giorno senza mai guardarsi, sedevano sotto lo stesso tetto senza essersi mai scambiate una parola. Eppure, nella loro inconsapevolezza, quel treno sarebbe diventato il primo di una lunga serie di viaggi che vedeva l’evolvere delle loro vite.

Marlena quel natale avrebbe dato a Vivian la pazzoide stravagante il regalo più bello di sempre: un’amiciza inseparabile, forte come un legame chimico capace di attraversare continenti ed oceani, esplodendo in mille fuochi d’artificio, un intenso pensiero continuo che dà la luce e la forza di andare avanti anche nelle situazioni più difficili.

Oggi per me la neve è solo un ricordo lontano, continuo a vivere in un’estate perpetua, in mezzo l’oceano non ci sono navi dove poter alzare il pollice, e non devo rincorrere nessun treno in partenza, perchè purtroppo non esistono mezzi che possano riportarmi dai miei cari per poi ritornare a lavoro in meno di poche ore.

Ma il mio sentimento è più vivo che mai, è proprio l’amore dalle solide basi che abbiamo creato insieme che mi ha dato forza per conseguire ogni singolo successo del mio percorso: dove io gettavo la spugna, tu mi rialzavi incoraggiandomi ad essere forte, dove io traballavo, tu mi hai dato l’appoggio, dove io ho sbagliato, tu mi hai insegnato.

𝖮𝗀𝗇𝗂 𝖬𝖺𝗅𝖾𝖽𝖾𝗍𝗍𝖺 𝖣𝗈𝗆𝖾𝗇𝗂𝖼𝖺

Non so cosa dirvi davvero. Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale. Tutto si decide oggi. Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso, signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi. Sono troppo vecchio. Mi guardo intorno, vedo i vostri giovani volti e penso “certo che ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare”. Sì perché io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio. Sapete, col tempo, con l’età, tante cose ci vengono tolte, ma questo fa parte della vita. Però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri, e così è il football. Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine di errore è ridottissimo. Capitelo. Mezzo passo fatto un po’ in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate, mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro, e io so che se potrò avere una esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. La nostra vita è tutta lì, in questo consiste. In quei dieci centimetri davanti alla faccia, ma io non posso obbligarvi a lottare. Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra, signori miei. Perciò o noi risorgiamo adesso, come collettivo, o saremo annientati individualmente. È il football, ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare?

(Tony D’Amato)

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